È stato il capitano del terzo scudetto del Napoli, leader in campo e fuori, e sicuramente uno dei più amati dai tifosi azzurri. Giovanni Di Lorenzo è pronto a tuffarsi nella prossima stagione con la stessa fame di prima: ne ha parlato dal ritiro di Castel di Sangro in un’intervista al Corriere dello Sport.
Il percorso negli ultimi 5 anni: “Io quasi non ci credo, però è successo e mi sono goduto tutto. Ogni tanto mi fermo a pensarci e mi accorgo che non mi sfugge nulla del mio passato. Successi inaspettati entrambi (Europeo e scudetto, ndr), dentro manifestazioni diverse, una breve e una lunghissima, estenuante. Ma Italia e Napoli sono stati in grado di imporsi contro chiunque”.
Sulla fascia da capitano: “La fascia che è appartenuta a Diego è sul mio braccio. Rappresento compagni semplicemente favolosi e ne sono fiero: di più non potrei chiedere”.
L’investitura è stata di Spalletti: “Con lui ho un rapporto di straordinaria umanità. Mi chiama, mi parla e mi dice che l’ha già fatto con il nucleo storico della squadra. Ci incontriamo, ribadisce il concetto e poi osserva e ascolta: furono tutti d’accordo, una condivisione di massa. E qui ci sono calciatori che sono arrivati ben prima di me. Ho scoperto la profondità dell’orgoglio”.
Sul percorso in campionato: “Un campionato stradominato vuol dire che lo hai meritato. E non penso possa dirsi che siamo stati fortunati: siamo stati i più bravi. Un processo di crescita – tecnico, tattico e menale – che è stato sublimato in nove mesi. Il salto di qualità è stato nella manifestazione di una maturità nuova, la consapevolezza di avere lo spessore per crederci. Non ci siamo mai accontentati. Non ci siamo mai sentiti sazi e non abbiamo mai mollato”.
La vittoria della consapevolezza: “Dopo il 2-1 con la Roma al Maradona, vinta in prossimità del 90′. Potevamo accontentarci, fare di calcolo, invece abbiamo voluto quei tre punti e ci siamo ritrovati con l’Inter a meno tredici. Non erano tantissimi, non erano pochissimi, anche se eravamo alla fine di gennaio. Ma quella sera ci siamo impadroniti del nostro destino, abbiamo scavato un fosso dalla seconda e soprattutto abbiamo lanciato un messaggio pure a noi stessi. Non è un caso se poi il distacco si è ingigantito”.
Sul prossimo campionato: “Ovviamente tutto si azzera, ma sappiamo che chi ha lo scudetto sul petto viene considerato la squadra favorita. E forse è giusto così. Il mercato è aperto, le altre si rinforzeranno, i giochini dei pronostici non mi appassionano e non li faccio, ma noi siamo quelli di due mesi fa: abbiamo fame, sapremo resettare ciò che è stato e calarci nella nuova dimensione. Abbiamo festeggiato il giusto e però adesso si ricomincia”.
Campionato o Champions: “Perché non tutti e due? La nostra garanzia è la mentalità, un patrimonio che ci portiamo appresso e che ingigantisce la qualità del gruppo. E allora, confermo: tutti e due. Ce le andremo a giocare e poi si vedrà. E poi, gli effetti di questo trionfo sono qua: Dimaro e Castel di Sangro prese d’assedio; l’allegria dei nostri tifosi che ci coprono del loro amore. Una cosa posso garantirla: di vincere nessuno si è mai stancato, men che meno noi”.
Una sfida da ripetere: “Vorrei rigiocare la partita con il Milan, l’andata o il ritorno di Champions, o semmai tutte e due. Le decisero gli episodi, i dettagli, il caso, anche il momento. Ma fu una delusione. E lo dico con il rispetto che si deve ad un’avversaria di assoluto valore”.
Le sfide a cui pensare: “Tutte, nessuna esclusa. Ma il debutto in Champions League con il Liverpool, ha un suo perché: affrontavamo uno dei club più prestigiosi del calcio internazionale, ricco di talenti. Fu una specie di serata perfetta, nella quale cogliemmo la bontà del nostro gioco. Ho il sospetto che quello sia stato il primo passaggio decisivo per aiutarci a capire quali fossero le potenzialità del Napoli”.
Il record di presenze di Hamsik: “Ci vogliono sette anni con una media di 50 partite a stagione per prenderlo… Le carriere si sono allungate”.