Giorgio Perinetti
, direttore tecnico dell’Avellino, si è raccontato a Il Bianco e Nero, su Sportchannel 214, parlando un po’ della sua carriera,
Queste le sue parole: “Da piccolo il mio idolo era Omar Sivori, prima alla Juve e poi al Napoli. Sono cresciuto in un ridente quartiere di Roma, solo con la mamma, figlio unico. Mia madre non mi ha fatto mancare nulla. Era una Roma stupenda, degli anni ’60, poche macchine, tante passeggiate. Al Liceo ho poi conosciuto Carlo Verdone e Christian De Sica, già figli di famiglie importanti con cui ho una grande amicizia tutt’oggi”.
Sul calcio: “Ho provato a giocare a calcio, poi sui 20 anni ho capito che non era per me il gioco, ma amavo questo sport e decisi di farla una passione, seguendo i ragazzini e provando a portarli in club importanti, nelle giovanili. La mia carriera cambiò di colpo. Io questi ragazzini, insieme a un ex calciatore della Roma, del primo scudetto “Uccio”, li facemmo partecipare a un torneo giovanile e vinsero 4-1 in semifinale con la Roma. Da quel momento la mia vita cambiò, perché la Roma si interessò a me, mi volle prendere come giovane dirigente, osservatore, per seguire i giovani. Nel frattempo studiavo e coltivavo la mia passione. Questa passione diventò lavoro quando Carlo Mupo, un avellinese, ex direttore del Milan, In quel momento direttore della Roma, mi fece la proposta di entrare nella Roma come professionista, facendomi firmare il primo contratto. Era il 1974-75, un avellinese mi fece entrare nel calcio”.
La carriera: “Oltre ai trofei vinti, voglio citare le salvezze, tipo con il Siena, che equivale uno scudetto. Dalla D alla Serie A ho vinto tutto, anche la Coppa Uefa. Manca solo la Coppa dei Campioni che perdemmo con la Roma nella maledetta finale con il Liverpool all’Olimpico. Manca la prossima, per la quale lavoriamo”.
Sul calcio: “E’ lo sport più seguito e praticato al mondo, è anche il più facile, oltre il fuorigioco e adesso il VAR. E’ un gioco che consente a tutti di giocare, per quello è diventato popolare. Poi con il tempo è diventato business, io preferivo il calcio romantico dei miei tempi. Ma ormai si evolve tutto. Rimane in piedi, perchè la passione resta tale”.
L’amore per Avellino: “Non è retorica, non sono frasi fatte. Io ho tanti ricordi di Avellino, grazie ad un avellinese ho iniziato a lavorare, spesso sono venuto qui ad Avellino a parlare con il commentatore Sibilia, una esperienza di vita. Mia moglie per anni ha lavorato qui ad Avellino. Sono tanti i legami che ci sono con Avellino. Ho trovato nel presidente D’Agostino una persona che mi ha conquistato, è pacato, rispetta i ruoli, dopo anni sono tornato con un presidente che ti ascolta, che chiede un’opinione, e questo mi ha fatto scattare un feeling speciale, perchè il presidente ricorda qui presidenti romantici di una volta. Poi la tifoseria, Avellino ha una sinergia, una identità molto forte e questa cosa la sento e la vivo con molto piacere. Quando si va bene, è spettacolare, quando si va male, si accettano le critiche e si va avanti. Sono felicissimo di lavorare per questo popolo e per questo club. Vivo per creare una gioia per queste persone e spero di farlo presto”.
Su Zamparini: “Un uomo vulcanico, amante del calcio. Era difficile conviverci dopo le sconfitte, perchè telefonava, urlava. Io lo facevo sfogare, appoggiavo il telefonino su uno scaffale, facevo altro, poi quando aveva finito lo riprendevo e parlavamo”.
Su Shevchenko: “Un grande talento, da allenatore pensavo che potesse fare qualcosa di più. Ora farà il dirigente e penso possa far bene”.
Su De Rossi: “Un allenatore che può dire la sua, da calciatore è stato super, da allenatore può dimostrarlo, gli deve essere data una opportunità giusta”.
Su Ancelotti: “Lo conosco da oltre 40 anni, l’ho accompagnato alle visite mediche quando arrivò da calciatore a Roma. Era fortissimo, grande umiltà. Trattai poi la sua cessione al Milan, una notte dolorosa. E’ difficile parlare male di lui, nessuno ne parla mai male”.
Zidane: “Era il mio pupillo, alla Juve quando si era in difficoltà, davano la palla a Zidane e si risolveva tutto. Eleganza, classe, discrezione. Quando vedo alcuni ragazzetti di oggi che si vantano, gli parlo di Zidane e gli dico, calma”.
Su Klopp: “Lo votai nel torneo Maestrelli come allenatore dell’anno, quando vinse il campionato col Borussia, con tanti ragazzini e aveva battuto il grande Bayern. Gioca un calcio straordinario, verticale, denso. Quando lo premiai rimase davvero felice”.
Maldini: “Colonna del calcio italiano. Non capisco come il Milan lo abbia lasciato andare via così. Una bandiera del genere anche in dirigenza va tutelata, Sul Milan posso dire che ho rifiutato due volte Berlusconi”.
Su Dybala: “Lo portammo a Palermo, ricordo che era piccolino, gracilino e avevo delle preoccupazioni. Poi è cresciuto fisicamente e atleticamente, ha qualità indiscusse oltre ad essere un ragazzo stupendo e rispettoso”.
Su Allegri: “Il calcio non ha regole precise. Vince Mourinho tantissimo, vince Guardiola tantissimo. Sono due allenatori agli antipodi, ma vincono entrambi. Non c’è una regola precisa. Lo stesso Allegri, ha vinto tanto. cosa vuoi dirgli”.
Sui fratelli Inzaghi: “Due ragazzi che vivono per il calcio. hanno sempre pensato al calcio come loro ragione di vita”.
Su Ranieri: “Portai Ranieri al Napoli dopo Maradona e dopo Moggi. Non era facile, avevo chiamato anche Sacchi, non era facile dopo quegli anni straordinari”.
Su Viola e Liedholm: “Viola ha fatto la storia a Roma, insieme a Sensi dopo. Di Liedholm ero un assistente, lo conoscevo bene, un grande allenatore”.
Il motto: “Il mio motto è vendi, guadagna e pentiti. Nel nostro mestiere bisogna essere bravi a cedere un calciatore e poi sostituirlo adeguatamente”.
Sul Partenio: “Lo ricordo ai tempi della Serie A, pieno all’inverosimile, la famosa legge del Partenio. Ho apprezzato la tifoseria avellinese in una occasione, un Avellino-Napoli del 2003, la partita triste non giocata, per la morte del tifoso del Napoli Sergio Ercolano. Lì apprezzai il pubblico irpino, che dimostrò responsabilità, che ha permesso che quella serata non diventasse una tragedia, dando una grande dimostrazione di civiltà sportiva”.