Il coach del Green Park di Posillipo racconta gli aneddoti di un giovanissimo aspirante al primato mondiale.
La vita è una partita a tennis: imprevedibile, varia. Con una marea di sfaccettature e attimi che possono invertirne il corso. Sempre, da un momento all’altro. Lo si chieda a Soccorso Maffei, classe ’84 che dalla Madonna del Soccorso, patrona di Solofra prese il nome inusuale, «per una fanciullezza non proprio facilissima», ci dice sorridendo. Poi ci si abitua a tutto, al nome ma anche ad un percorso frenetico, fatto di passioni e di studi. Soprattutto di incontri che mischiano le carte, per riassegnare compiti e ruoli.
Il tennis è stata la costante nella vita di Soccorso, talentuoso da ragazzino per quanto forse gli riuscisse meglio di giocare al calcio nel ruolo di centravanti. Ha comunque da raccontare una finale giocata e persa nel derby irpino con Massimo Capone, che assegnava lo scudetto campano under 16, prima di decidere che probabilmente col tennis non avrebbe avuto mai da vivere e che sarebbe stato più opportuno dedicarsi ad altro. La trottola Maffei ha cosi completato gli studi in legge, divenendo avvocato ed esercitando la professione. Poi ha virato perché, dopo altri due master a pieni voti, per un periodo è stato direttore di negozi di moda; in un altro di media durata in Florida, a Sarasota, ha gestito un ristorante. Quindi è tornato in Italia, e nello studio legale di Siena dove lavorava, l’incontro
con una collega che gli chiedeva di giocare a tennis un’oretta gli ha di nuovo cambiato il corso della vita. Semplicemente perché quella collega era la fidanzata di Paolo Lorenzi, oggi direttore degli Internazionali BNL d’Italia e all’epoca il re dei tornei Challenger, che vinceva con regolarità svizzera. La conoscenza, l’intesa, la condivisione delle ore e del lavoro: Soccorso torna a rimettere in borsa la racchetta, scala di nuove le classifiche fino alla seconda categoria e segue Paolo Lorenzi dappertutto, anche sull’erba eterna di Wimbledon. Ed ecco che nel 2018 gli capita di incontrare per la prima volta Jannik Sinner.
«Eravamo a Biella per giocare il tradizionale Challenger, che è un appuntamento fisso in calendario, quando arrivò Andrea Volpini, coach del Piatti Tennis Center e conterraneo di Paolo Lorenzi. Accompagnava questo ragazzetto dai capelli rossi che aveva avuto una wild card per giocare il torneo di doppio. Paolo accettò di allenarsi con il giovane Jannik e ad un cambio campo mi venne vicino dicendo: “Questo qui diventa numero uno al mondo. Deve mettere massa ma non soffre assolutamente la mia palla. Gli viene tutto facile, non ho mai visto una cosa del genere»
Da quel primo incontro, la centrifuga degli episodi portò Soccorso Maffei a Bordighera, a lavorare come coach proprio per Riccardo Piatti e la sua famosissima struttura. Su quei campi dove la Sharapova si alternava proprio con Sinner, non più imberbe ma lanciatissimo tra le promesse next gen.
Il racconto:
«Ero salito a Bordighera con la mia auto per rimanerci un fine settimana e invece li ho trascorso tre anni intensissimi. Il rapporto con Jannik nacque spontaneamente in quei giorni, forse già solo per una questione cromatica. Ci riconoscemmo, avendo gli stessi capelli rossi e lo stesso taglio. Ma anche la medesima propensione alla battuta pronta. Ci prendemmo. Così, mentre si allenava con Piatti e Volpini accettava ben volentieri la mia presenza. E incominciò anche a chiedere sempre più spesso a Riccardo che ci fossi anch’io alle sue sedute: apprezzava tanto che io avessi sempre qualcosa da raccontare, stemperando le tensioni e facendolo sorridere.
Sai, ci vuole anche questo laddove si lavora con intensità assoluta, staccando di fatto pochissimo. Le cose andarono avanti così per diverso tempo, fin quando Jannik non prese il volo vincendo le finali del Next Gen e girando il mondo con maggiore continuità. In quella fase io divenni riferimento in accademia per Simone Bolelli, oggi straordinario doppista in coppia con Vavassori. Ci accorgemmo nel 2020 che l’unico in grado di sostenere nei match di allenamento il ritmo di Sinner era proprio Bolelli. Così mi ritrovai in campo per un anno e mezzo, da coach di Simone, avversario di Jannik: erano sempre partite bellissime, con un tasso qualitativo davvero eccezionale. Ci tengo a dire che Simone Bolelli è il giocatore più elegante e tennisticamente dotato che mi sia capitato di vedere all’opera, e per fortuna di allenare. Lasciando Jannik fuori da paragoni che con lui diventano insostenibili».